DA GIOVANE COMBATTENTE DELLA
RSI A SINDACO DI LATINA
INTERVISTA AD AIMONE FINESTRA, SINDACO DI
LATINA La vile resa dell'8 settembre '43 segnò la fine della
Patria. L'agghiacciante testimonianza di un valoroso ufficiale italiano
che si è presentato spontanamente al comando slavo per salvare i
suoi compatrioti e che ha avuto in cambio solo dolore e ingratitudine:
lo stato italiano che avrebbe dovuto premiarlo come eroe non gli ha riconosciuto
nemmeno la qualifica di combattente.
Maria Paola Gianni
"Non bisogna né
rinnegare, né restaurare. Ultimamente si è tentato di rinnegare
un po' tutto, come a volte accade a destra, e questo è sbagliato.
Una formazione politica, anche nuova, deve avere dei punti di riferimento,
degli agganci con la storia, altrimenti è condannata a non avere
un avvenire tra le nuove generazioni".
Aimone Finestra, sindaco di
Latina dal '93, si presentò col Msi che quell'anno registrò
più del 58% dei consensi. Dopo quasi cinquant'anni di egemonia democristiana,
Latina, ex-Littoria, è stato il primo grande Comune d'Italia ad
avere un sindaco di destra. Un avvenimento clamoroso che è stato
registrato in tutta Europa ed è arrivato anche in America. Dopo
anni di emarginazione, improvvisamente una grande città riconferma
la sua identità, i suoi valori, le sue radici.
"I ragazzi vogliono
un ancoraggio sicuro nei valori. Tutti i giovani che hanno aderito alla
Repubblica Socíale Italiana lo hanno fatto per gli ideali, per l'onore,
non hanno voluto rinnegare nulla. Sono stato votato non solo perché
fascista - ha spiegato Finestra - ma soprattutto perché ho sempre
sostenuto i valori nazionali e sociali. Ho ottenuto tanti consensi anche
da gente non di destra".
"E se ho avuto successo
- ha proseguito Finestra - è perché ho sempre sostenuto
i valori nazionali e sociali. Ho ottenuto tanti consensi anche da gente
non di destra".
"E se ho avuto
successo - ha proseguito Finestra - è perché ho sempre
fatto politica per non far dimenticare le radici storiche di Latina".
E a chi sostiene che Latina non ha storia, Finestra prontamente ha replicato:
"Littoria ha la sua storia, e Latina può essere definita la
continuità di Littoria, ma senza quest'ultima non poteva esserci
Latina".
Littoria è la
città voluta e fondata dal Duce negli anni '30 dopo la bonifica
delle paludi pontine, 140 mila ettari di immenso acquitrino a soli 80 km
da Roma, trasformato in un autentico fiore all'occhiello del Governo mussolimano,
divenuto meta turistica e citato da personaggi come Pound. I palazzi, le
fontane, i monumenti. quasi ogni angolo contiene una traccia del ventennio,
come il palazzo a due passi dal corso, a forma di "M", dove c'è
la Guardia di Finanza e i tombini con i fasci e con la scritta 'Littoria'.
Il sindaco ci ha ricevuto
in Comune, in un'atmosfera tutta storica: immagini dell'epoca adornano
le pareti del suo ufficio, a dispetto di quanti hanno sempre censurato
e continuano a censurare ogni riferimento al ventennio. Nato a Todi nel
'21, Finestra è stato volontario di guerra, ufficiale dei bersaglieri
decorato al valor militare. Ha combattuto sul fronte balcanico ('41-'43)
e su quello italiano ('44-'45). Prima di diventare sindaco è stato
senatore della Repubblica per due legislature. Ha scritto tre libri: "à
passata senza fermarsi" nel '52, "Ad ogni costo" nell'82,
e "Dal Fronte jugoslavo alla Val d'Ossola" nel '95. Il suo sport
preferito è l'equitazione.
Un uomo che non ha mai fatto
mistero della sua fede missina, che ha combattuto valorosamente in guerra.
ha sempre fatto l'imprenditore, senza mai adagiarsi sulla sola politica.
Ha un'azienda che ha creato dal nulla. E visto che sul lavoro non potevano
attaccarlo, hanno percorso il suo passato, specie quello relativo al '43-'45,
durante il quale Finestra è stato condannato a morte.
"Nel cercare di sminuire
la mia rigura di combattente - ha ricordato Finestra - non avevano
previsto che di fronte alla richiesta della condanna a morte, la pubblica
accusa mi riconoscesse le attenuanti grazie ai miei atti di valore pluridecorati
e al mio comportamento da soldato leale e coraggioso anche con gli avversari".
La condanna a morte, quindi,
venne commutata in pena, e una seguente amnistia lo liberò. I tentativi
di denigrare la figura di Finestra si risolsero in un effetto boomerang,
contribuendo cioè ad esaltare ulteriormente la sua persona.
Quello che colpisce in Finestra
è la spontaneità, la genuinità e soprattutto la naturalezza
nel prendere le decisioni. Degno di menzione è l'episodio accaduto
circa un anno fa, durante la progettazione del ripristino dell'arca verde
di piazza del Popolo. Dopo decine di anni di abbandono il parco era in
grave stato di degrado, tra siringhe e rifiuti. Il restauro prevedeva l'abbattimento
di due cedri del Libano. Un giorno. i principali quotidiani riportarono
un comunicato indirizzato al Comune: "I verdi proibiscono al sindaco
di togliere i due cedri del Libano da piazza del Popolo" e il giorno
seguente Finestra fece subito abbattere i due alberi. Oggi l'area verde
risplende nella sua bellezza, adornata con piante basse, piccole varietà
di bosso nano. E ancora: Più di un anno fa. in occasione della presentazione
del libro "Dal Fronte jugoslavo alla Val d'Ossola", alcuni collaboratori
del sindaco pensavano che l'esposizione di una bandiera delle terre irredente
avrebbe offerto l' ennesimo pretesto per attaccare il sindaco. Espresse
le loro perplessità, il sindaco rispose senza la minima esitazione:
"La bandiera di Istria,
Fiume e Dalmazia deve stare al posto d'onore, dietro agli oratori, quella
italiana e di Latina ai due lati esterni".
Sindaco, lei che ha
esperienza da vendere in disciplina militare, ci parli un po' del neologismo
da parte britannica "to badogliate".
"Badoglio ha
servito gli alleati, ma non è stato mai stimato da loro, anzi lo
disprezzavano. Non a caso non si parla più di Badoglio, e nella
storia è ricordato come colui che ha tradito miseramente. Per questo
con il suo nome è stato coniato un verbo per indicare chi agisce
da traditore".
E l'armistizio dell'8
settembre '43, quando Badoglio, senza alcuna dignità firmò
la resa senza condizioni.
"Quando una
nazione perde l'onore perde tutto. Ancora oggi noi italiani siamo visti
con diffidenza dagli stranieri. Pensano che l'8 settembre l'Italia abbia
venduto il proprio onore. In politica bisogna avere il coraggio di affrontare
il rischio ponderato: si può perdere una battaglia, ma con dignità.
E non come l'8 settembre 1943 del quale ci vergognamo ancor oggi. Galli
della Loggia ha detto che la fine della Patria è avvenuta dopo quella
data e io questo l'ho sempre sostenuto, perché ciò che condanna
l'Italia è non tanto l'armistizio, quanto il rovesciamento di fronte:
lasciare gli alleati per passare con i nemici".
A proposito, lei è
stato tra i primi, in terra di Dalmazia, a issare la bandiera della ribellione
contro il rovesciamento difronte...
"Si, e i giovani mi
hanno seguito e hanno combattuto al mio fianco, in difesa di Zara e del
territorio dalmata. C'erano tanti ragazzi che erano a scuola con Bettiza,
che passa oggi come un famoso scrittore perché autore di un libro,
dove sostiene tutte le tesi e mai e poi mai cita un nome di un suo amico
che è morto combattendo in difesa della Dalmazia e dell'Italia.
Questo è veramente grave".
Nel suo libro "Dal Fronte
jugoslavo alla Val d'Ossola", emerge la difesa degli italiani verso
i serbi, più deboli, dai violenti ustascia croati. Un atteggiamento
motivato da scopi umanitari e non politici...
"Certo. E tale
comportamento scatenò la rabbiosa reazione da parte delle forze
guidate da Tito. Abbiamo salvato anche molti ebrei e li abbiamo portati
in Dalmazia, in territorio italiano".
Perché gli ustascia
erano cosi spavaldi e prepotente
"Gli ustascia contro
i serbi avevano un odio atavico, odio di religione, di etnie, storico,
di interessi".
Nel suo ultimo libro emerge
una triste realtà: un'esasperata eterogeneità dei popolijugoslavi,
talmente spiccata da alimentare l'odio tra le diverse etnie...
"I croati accusano
i serbi di aver esercitato il potere anche contro di loro e di aver sempre
benericiato di posizioni di privilegio, in tutti i campi. E un odio che
c'è sempre stato, ma sotto la forte monarchia jugoslava e con Tito
era come assopito".
Nonostante l'eterogenicità
spiccata dei popoli, la figura di Tito è riuscita a fungere da collante.
Il tiranno, comunque, predisse che dopo la sua morte la Jugoslavia si sarebbe
disgregata...
"Tito ha avuto
la capacità di unire i popoli grazie alla sua politica comunista,
ma nazionalpopolare. Infatti in seguito si staccò anche da Mosca.
Ha sempre detto di voler difendere le classi più deboli".
A 23 anni.fu Preso prigioniero
dagli angloamericani e portato in un campo di concentramento dal quale
evase. Come riusci a scappare?
"Mi sono arreso
il 2 maggio '45. Tra gli oltre cento prigionieri che ho consegnato agli
angloamericani e ai partigiani, era il più grande azionista del
quotidiano "La Repubblica", il principe Caracciolo di Castagneto,
ancora in salute. Gli ho salvato la vita, si potrebbe dire che 'La Repubblica',
ha un debito di riconoscenza. Quando la polizia partigiana di Novara mi
stava per prelevare per processarmi, sono riuscito a sostituirmi ad uno
dei prigionieri liberati col primo gruppo, un soldato semplice, di Pola.
Naturalmente ho dovuto nascondere di essere ufficiale, altrimenti non sarei
riuscito a lasciare il campo. E acconsentii alla sostituzione solo perché
il soldato che mi aveva offerto la sua sostituzione mi assicurò
che sarebbe uscito in breve tempo, senza problemi. Quando lasciai il campo
portai con me la divisa da ufficiale, nascosta sotto l'abbigliamento di
prigioniero di guerra. Ero troppo affezionato alla mia divisa, significava
tanto per me, talmente che se fossi stato fucilato desideravo indossarla.
Ho ancora la giacca e credo che la cederò ad un museo di Latina".
Poi fui preso e giudicato
a Novara, fui condannato a morte. Allora il Pubblico Ministero era Scalfaro,
che durante il processo disse che, da "buon cattolico", pur essendo
contrario alla pena di morte, doveva fare il suo dovere e chiederla. Poi
grazie alla sostituzione di Scalfaro non fù suo dovere", mentre
al processo Priebke non è stata valutata la non colpevolezza per
aver eseguito gli ordini superiori, secondo il codice militare...
"Scalfaro mi conosceva
perché aveva partecipato all'istruttoria contro di me quando io
ero latitante. Durante il processo, per fortuna Scaltaro fu chiamato a
Roma, perché era diventato deputato, e il suo sostituto, l'avvocato
Fedele, ha sostenuto l'accusa. Scalfaro aveva già chiesto la condanna
a morte per 5-6 persone, tra cui uno dei giudicí di Verona e due
ragazzi giovanissimi, uno di 19 e l'altro di 21 anni. Nel chiedere le condanne
a morte, Scalfaro diceva di aver studiato gli atti profondamente, ma 'le
accuse e i crimini commessi erano talmente grivi che non vi era nessuna
possibilità'. E poi aggiungeva: 'Se la Corte saprà trovare
ciò che io non sono stato in grado di trovare, le attenuanti. l'accusa
ringrazierà la Corte'. Qui si rivela il falso cattolico.
Lei ha confessato che vedere
di persona il Duce fa va un certo effetto. Cosa le ha lasciato Mussolini?
"Devo confessare che
ho seguito la RSI perché ero molto legato a Mussoiíni. Spesso
lo avevo visto da vicino e mi impressionava il suo sguardo magnetico. Poi
non potevo dimenticare quello che aveva fatto per Littoria. Tante cose
Mussolini le ha fatte bene, eccome! Era un uomo che difendeva il popolo,
ed è stato proprio il popolo che più tardi lo ha ucciso e
impiccato. Ma in quel momento il popolo era incosciente, inconsapevole,
accecato dall'odio".
Dopo gli attacchi alla magistratura
militare per il processo Priebke, alla Marina militare per la questione
albanese, e di fronte alla crescita della figura dell'obiettore di coscienza
si cela forse un oscuro disegno che mira a smantellare l'esercito italiano
ad opera di chi non conosce l'amor patrio e l'importanza della difesa nazionale?
"Certo. Durante
e dopo la guerra le formazioni comuniste e i loro comandanti hanno sempre
cercato di mettere in difficoltà e di sminuire l'apporto dato alla
cosiddetta Resistenza dalle formazioni non comuniste. Queste ultime avevano
ancora ufficiali dell'esercito, quindi erano legate alla vita militare,
e non erano come i reparti comunisti che puntavano a vincere solo per instaurare
una repubblica comunista e non avevano mai combattuto per l'Italia, come
invece facevano gli altri. Molti partigiani non comunisti sono stati eliminati
dai partigiani comunisti, basta ricordare il IX Corpus. I comunisti dell'Italia
del nord hanno copiato tutto dai comunisti jugoslavi".
E le rappresaglie?
"Il provocare la rappresaglia
è una strategia tipica comunista. I comunisti uccidevano a tradimento,
facevano imboscate, provocando la rappresaglia che andava sempre a vantaggio
di chi la subiva. Sapevano che la gente avrebbe condannato coloro che avrebbero
fatto la rappresaglia, non chi l'aveva provocata. E questa è una
caratteristica tipica dei comunisti jugoslavi. Io che comandavo un reparto
di cetnici non sono mai caduto in questo tranello, perché lo conoscevo.
Ma gli italiani in genere ci cadevano sempre, spesso spinti dalla voglia
di aiutare chi era in difficoltà".
Tornando alla sua città,
è vero che lei voleva indire un referendum per far scegliere ai
cittadini tra Latina o Littoria?
"Recentemente
è stato indetto un referendum in un istituto agrario, e ha vinto
il nome di Littoria. Credo che questo sia di buon auspicio e probabilmente
a Latina nel futuro si potrebb indire un referendum simile. Ma bisogna
ricordare che la Littoria di allora aveva 25 mila abitanti, oggi ne ha
Il 6 mila e molta gente è estranea alle radici della città.
il centro storico, comunque, si chiama "quartiere Littoria",
mentre nel parco comunale ci sono diverse vie che ho fatto intitolare in
onore della tragedia delle Foibe: c'è via Zara, via Fiume, via Pola,
via Dalmazia, via Istria. il parco si chiama "Arnaldo Mussolini",
come allora: molti hanno cercato di cambiargli il nome, ma ancora si chiama
cosi. Mi piacerebbe ripristinare due grandi fasci sulla fontana di fronte
alla prefettura, che furono scalpellati violentemente dopo la caduta del
Fascismo. Se sarò riconfermato sindaco vorrei ripristinare la Littoria
del '32, perché solo così si rende omaggio alla storia".
E le centinaia di opere d'arte
del ventennio, contenute nella famosa Galleria d'arte moderna, sparite
anch'esse?
"Siamo riusciti a
recuperarne circa cinquanta, e abbiamo ripristinato il museo). Molti privati
li avevano in casa, e spontaneamente li hanno ceduti al Comune".
NUOVO FRONTE N. 173 Aprile 1997 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)